martedì 25 ottobre 2011

IL FUTURO DELL'ITALIA IN LIBIA

Morto Gheddafi, finita la guerra. la politica vorrebbe far passare questo messaggio. In realtà la missione degli italiani inizia adesso. Non solo per motivi umanitari. Soprattutto per evitare che tutto ciò che gli accordi bilaterali tra Gheddafi e Berlusconi avevano sancito vada in fumo. A beneficio di Francia, Inghilterra e Stati Uniti. I petroldollari sono infatti il motivo per cui in Italia e non solo un tempo si è passati sopra alla politica dittatoriale. La ragion di Stato in tempo di crisi ha spinto il piede sull'acceleratore delle alleanze. Loro, i libici, i soldi, noi il know how e la Cina - di gran carriera - a insediare entrambe le cose. Adesso più che mai il rischio è a) perdere i soldi investiti in Italia e potenzialmente diretti all’Italia; b) vederli rifluire fuori dai confini italiani verso paesi nemici; c) al tempo stesso vedere sciogliere la barriera maghrebina che ci difende dall’invasione economica cinese.
Il sistema economico tricolore in questo momento non può permettersi di perdere del tutto le partecipazioni libiche in Unicredit, la seconda banca d'Italia, o in Finmeccanica, la quarta società di difesa del mondo. E si parla di quattro miliardi nel primo caso e di oltre 100 milioni nel secondo. Ma a valere per il sistema Paese non sono solo gli investimenti diretti. Ci sono pure quelli indiretti: un sacco di business in terra d'Africa. A cominciare dalla partita petrolifera che come contro altare ha la compartecipazione dell'Eni. Nel dicembre del 2008 la stessa presidenza del Consiglio annunciò la volontà della Libia di utilizzare società finanziare controllate dal governo, alias il clan di Gheddafi, per salire fino al 10% del Cane a sei zampe. Non bisogna dimenticare che la scalata del beduino di Tripoli all'Italia cattolica si deve in parte a Cesare Geronzi. Fu lui oltre tredici anni fa ad aprire sia il portone di Capitalia sia i salotti buoni di Roma. Anche se l'idea originaria non fu sua.
L'amicizia tra il leader libico e l'Avvocato Agnelli è senz’altro antecedente e ancora oggi dal punto di vista quantitativo vale il 7,5% della Juventus. Come si comporteranno gli uomini del Cnt? Tra l’altro quasi tutti ex ministri di Gheddafi caduti in disgrazia nel corso degli ultimi anni. Nel 2008 Impregilo ha vinto una gara da quasi un miliardo per costruire tre centri universitari nei pressi della capitale. Entro il 2012 si comincerà a capire che strada prenderà la cuccagna degli appalti futuri. Due grandi opere (metropolitana e ferrovia) che da sole valgono più o meno 7 miliardi di euro sono una incognita di difficile risoluzione. La storia insegna che le infrastrutture, quando ci sono i soldi, sopravvivono ai cambi di regime perché servono al territorio. Bisogna però presidiarlo anche militarmente se non si vuole rimanere a mani vuote e perdere opportunità per almeno 10 miliardi.

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