Msi fuorilegge. Non siamo negli anni Settanta, quando tentarono di tutto per cancellare il partito di Almirante dal panorama politico italiano. Non siamo neppure nell’immediato dopoguerra. Siamo solo in presenza di una vicenda che, se non fosse grave, sarebbe grottesca. Tutto ha un limite. E il limite, nello “scandalo” del console Mario Vattani, è stato superato – di molto – in un clima di colpevole silenzio. Perché il punto cruciale non è più la sua esibizione canora sul palco di Casapound ma la discriminazione di un’intera comunità politica. Vattani – prima richiamato dalla Farnesina, poi reintegrato dal Tar e ora di nuovo richiamato in Italia su decisione del Consiglio di Stato – è stato considerato “impresentabile” per la sua militanza missina negli anni Ottanta. Il capo d’accusa: aver avuto un passato nel Fronte della Gioventù, ragion per cui – come si legge nel memoriale della Farnesina – la sua permanenza all’estero sarebbe «in palese contraddizione con le alte funzioni di rappresentanza dello Stato che è chiamato a svolgere». Vattani “condannato” per essersi iscritto all’organizzazione giovanile missina nel periodo in cui il segretario era Fini. Parole che potrebbero riguardare tutti, a ogni livello. Una sorta di messa al bando a posteriori, secondo la quale – a rigor di logica – Fini non avrebbe potuto fare il presidente della Camera, La Russa il ministro della Difesa, Gasparri il capogruppo Pdl al Senato, Matteoli il ministro delle Infrastrutture, Alemanno il sindaco di Roma e la Meloni il ministro della Gioventù. Il che ha provocato la protesta di chi ha vissuto le difficili ed esaltanti stagioni della destra, da Domenico Gramazio a Enzo Raisi e Bruno Murgia. Nessuna reazione invece dal Quirinale, di solito molto loquace. C’è tempo per rimediare, meglio tardi che mai. Purché si rimedi.
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