martedì 8 novembre 2011

FASCISTS' CRIMINAL CAMP

Non c’è che dire. Indiana Jones, fortunata quadrilogia di Spielberg, ha ‘rovinato’ un’intera generazione di storici e di ricercatori. Intendiamoci, rovinato in senso buono, perché l’idea che “storia ed archeologia non si pratichino restando chiusi nelle biblioteche” ha spinto curiosi, appassionati e ricercatori più qualificati ad indagare su pagine di storia scansate dalla storiografia ufficiale o più semplicemente dimenticate.
Il professor Pietro Cappellari (studioso dell’Istituto storico Fondazione RSI di Terranuova Bracciolini) immagino abbia visto e rivisto le avventure del prode Indy decine di volte. E’ dai primi del Duemila che il giovane nettunese lavora instancabilmente tra Lazio ed Umbria per riportare alla luce eventi e personaggi sui quali anni fa cadde la damnatio memoriae.
Nel 2004, nei pressi di Leonessa (RI), rinveniva una fossa comune risalente ai tempi della guerra civile. Dopo un’attenta analisi delle fonti, Cappellari è riuscito a ridisegnare una mappatura degli avvenimenti che coinvolsero il borgo reatino nella primavera del 1944, sfaldando la teoria della vulgata resistenziale che parlava di battaglie campali tra la brigata partigiana Antonio Gramsci ed imponenti divisioni tedesche.
Di falsi storici e falsi miti smontati da Cappellari mi sono già occupato su questa testata (cfr. Quei fascisti fatti passare per partigiani); tuttavia un nuovo squarcio si apre nella storia locale e nazionale, uno squarcio che getta luce sui POW CAMP, i campi di prigionia alleati destinati ai civili e ai militari della RSI.
Padula (SA). Nel 1998 l’UNESCO ha inserito la Certosa di San Lorenzo nel patrimonio mondiale dell’Umanità. Il primo nucleo del grande complesso risale al 1306 e, per 450 anni, proseguiranno lavori di ampliamento del magnificente edificio. Certosa (ovvero monastero dei monaci certosini) più grande in Italia, quella di San Lorenzo vanta il chiostro più grande al mondo (c.ca 12 mila mq), con la sezione principale dell’edificio caratterizzata da un tripudio d’arte barocca.
Sette secoli di storia, dunque, segnati dalla mano di grandi artisti, ma anche da tragedie più o meno note: dagli studi superiori tutti ricorderanno la rivolta dei volontari di Carlo Pisacane che, nell’estate del 1857, proprio a Padula, libereranno i detenuti e aizzeranno i contadini contro il regime borbonico. Rivolta destinata a finire nel sangue, con più di cinquanta sostenitori del patriota risorgimentale morti ammazzati e 150 prigionieri nelle mani del VII Cacciatori borbonico.
Meno di cento anni dopo quel tragico epilogo, la Certosa diventa scenario di un nuovo scempio, stavolta perpetrato dalle truppe anglo americane che, dopo lo Sbarco di Salerno e l’occupazione di Napoli, hanno fatto della Campania uno dei loro quartier generali nel sud della Penisola. Pietro Cappellari, durante una visita guidata al grande complesso salernitano, ha provato un mix di ilarità e sdegno alle parole profferite dalla guida turistica riguardo alla Certosa durante il secondo conflitto mondiale: campo di internamento tedesco.
Chiunque abbia studiato quel periodo terribile sa bene che, dopo il 9 settembre, la presenza tedesca a Sud di Napoli fu estremamente breve, causa la vasta operazione aereo navale e terrestre compiuta dagli alleati sulla litoranea di Salerno.
Dopo giorni di duri scontri (durante i quali gli americani temettero anche di essere ributtati in mare), le divisioni corazzate tedesche ripiegheranno verso nord, nell’area del napoletano e nel Lazio meridionale, arroccandosi  nei pressi di Monte Cassino, futuro triste palcoscenico di un’offensiva sanguinaria che non risparmierà nessuno: le rovine dell’abbazia (ricostruita nel dopoguerra), le sofferenze degli italiani e degli assediati. Le croci bianche polacche sono state (e sono ancora) monito agli uomini sulla sciagura e follia della guerra.
In realtà il campo di Padula fu, sì, di internamento, ma di internamento per prigionieri tedeschi e della Repubblica sociale. Per venti mesi, dal settembre 1943 all’aprile del 1945, il Sud Italia verrà attraversato da colonne di soldati e civili catturati durante l’avanzata verso il Nord. In una nota diffusa da Cappellari attraverso l’agenzia Ares, si legge che la Certosa, da antico monastero, fu luogo ideale per concentrare masse di prigionieri tra i quali, a fine conflitto, si conteranno non meno di tremila civili italiani sospetti di simpatie fasciste e comunisti, questi ultimi arrestati per aver rifiutato la consegna delle armi all’ AmGot, l’amministrazione militare americana dei territori occupati.
Il ricercatore di Nettuno ricorda come la storia dei “Pow Camp” sia ancora da scrivere, malgrado qualche testo che, negli ultimi sessant’anni, ha reso un po’ di giustizia agli ex detenuti che non vollero aderire alla nuova Italia cobelligerante di Badoglio e di Vittorio Emanuele III.
Nel 2002 una produzione italo-americana propose la pellicola Texas ’46, nella quale verrà narrata l’esperienza dei soldati italiani rinchiusi nel centro di detenzione di Hereford, in Texas. Attori di punta Roy e Luca Zingaretti. Un’amicizia nata dietro il filo spinato tra un ufficiale americano (Scheider) e un tenente italiano (Zingaretti). Peccato che nel film si parli di soldati badogliani… il che la dice lunga sulla volontà di restituire una verità per anni falsata.
Dopo i testi di Roberto Mieville Fascist’s criminal camp e la testimonianze straordinarie di Giorgio Pisanò, che dettagliatamente racconta l’esperienza di Coltano, Pistoia, Terni e Rimini, un giornalista storico molto noto, Arrigo Petacco, ha recentemente pubblicato un volume Quelli che dissero no. 8 settembre 1943: la scelta degli italiani nei campi di prigionia inglesi e americani (Mondadori, 2011) che ridona linfa a vicende che non meritano di essere chiuse in un cassetto, perché furono vicende di uomini che, seppure oggi considerati della ‘parte sbagliata’, patirono sofferenze fisiche ed umiliazioni, migliaia di chilometri lontani da casa, in mano a soldati nemici non sempre rispettosi delle convenzioni internazionali, come nel caso del Pow di Ohau (situato in zona di guerra, contro le disposizioni di Ginevra) o i campi di Coltano (PI) e Collescipoli (TR) noti per la durezza del trattamento da parte dell’autorità militare americana e britannica.
Cappellari conclude il suo intervento sul passato della Certosa con un impegno, impegno fondato su un senso di giustizia, non di facile nostalgismo, apporre una lapide recante queste parole
Campo di concentramento angloamericano per internati civili Qui, tremila Italiani, colpevoli solo di essere rimasti tali, soffrirono un’ingiusta prigionia, trovarono un’oscura morte, per mano di coloro che – come i Francesi di Napoleone – si arrogarono il diritto di portare la “libertà”, seminando terrore, morte e misera.
«Quando avremo fatto ciò – chiude Cappellari – ci saremo incamminati sulla strada della giustizia e della dignità nazionale».
Marco Petrelli

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