mercoledì 23 novembre 2011

IL SEME DELLA DIGNITA'

Spesso mi capita di ascoltare le radio dei tifosi di calcio. Può sembrare un’assurdità, ma vi assicuro che è come leggere un romanzo fantasy, entrare in un altro universo. È un tuffo in un’altra epoca fatta di sentimenti semplici e passioni forti. E come succede quando ti rifugi nelle fiabe, non sei un soldato che diserta - come giustamente diceva Tolkien - ma un prigioniero che a
buon diritto riesce a evadere. È una fuga, ovviamente momentanea, da una realtà opprimente. In quei momenti non penso allemagagne del mondo e da quei momenti torno rigenerato.
L’altra mattina, mentre mi facevo la barba, alla radio stava parlando Giacomo Losi, vecchia bandiera della Roma degli anni Sessanta. Un difensore duro in campo ma leale, tanto che concluse la lunga carriera senza mai aver subito un’espulsione. E sempre con i colori della Roma. Un uomo schivo, lontano anni luce dallo star system di oggi. Ascoltandolo parlare alla radiomi sono commosso. Ma non per questioni di appartenenza calcistica, anche se sono romanista. Il fatto è che nelle sue parole brillava lucentissima la bellezza di un mondo più semplice, più dignitoso, più vero rispetto a quello che ci troviamo a vivere. Un modo d’intendere la vita per il quale difficoltà fa rima con dignità.
E ho pensato al nuovo libro di Giampaolo Pansa, Poco o niente, nel quale il grande giornalista racconta la storia della sua famiglia. Una storia di povertà e di riscatto. Di povertà dignitosa e di riscatto sudato (vedete? Entra ancora in gioco questa parola: dignità). E fatalmente il pensiero è andato a mio padre, a mia madre, alla mia famiglia. Con mio fratello e mia sorella siamo cresciuti in un’epoca agiata, d’accordo. Ma quel che avevano dovuto sudare i miei (come tanti altri) dopo la fine della guerra rappresenta un patrimonio del quale vado sommamente fiero. Un patrimonio al quale sono stato nutrito senza proclami roboanti né insegnamenti pedanti, trasmesso con il semplice veicolo dell’esempio.
Mio padre aveva combattuto nella Repubblica sociale: era uno di quei ragazzi che vollero riscattare la miseria del “tutti a casa”, così magnificamente omaggiati nei libri di Carlo Mazzantini. A guerra finita era tornato a un mondo nel quale, per lui e per quelli come lui, vivere significava ricominciare non da zero, bensì da molto molto sotto lo zero. Tanto che dovette rifare il servizio militare, perché per la nuova Italia quello servito con “il gladio e l’alloro” non contava niente. E lui ricominciò, trovando in mia madre la donna con la quale costruire una vita nuova, a dispetto di tutto e di tutti. Con tenacia, senza lamentarsi, senza un tentennamento. Senza mai cedere alla voglia di prendere scorciatoie… Al suo funerale, la basilica di San Lorenzo Fuori le Mura, a Roma, era stracolma di gente, tanto che i miei amici mi chiesero chi diavolo fosse mio padre e perché si fosse radunata una simile folla per salutarlo. Io non seppi rispondere altro che la semplice verità: era molto amato. Da molti. Perché aveva attraversato la vita con un certo stile. Senza darlo mai a vedere, silenziosamente coerente. Fascista per sempre, ma allergico a qualsiasi nostalgismo. Curioso e vitale. Onesto, come si diceva una volta, “a tutta prova”. E di prove ne ebbe un’infinità. Era stato funzionario all’Inam, l’istituto dal quale partivano i finanziamenti per tutto l’ambiente medico, e dalle sue mani passarono un’infinità di soldi. Gli avrebbero fatto ponti d’oro perché decidesse in un modo piuttosto che in un altro… Ma non si può dire che “preferì” non arricchirsi, perché l’opzione alternativa, che gli proponevano in continuazione, per lui non esisteva proprio.
Eppure in quella chiesa c’era moltissima gente che da lui aveva ricevuto solo cortesi “no” a qualsiasi richiesta “fuori concorso”.
Ora viviamo in un’altra epoca. Persone come Giacomo Losi, come quelle raccontate nel libro di Pansa o, lasciatemelo dire, come i miei genitori, ce ne sono ancora. Forse non tante come illo tempore, ma ce ne sono. Però sono sommerse da un mondo stracolmo d’ipocrisia. Un mondo nel quale ci s’indigna a comando e solo per i comportamenti “degli altri”, mai per se stessi. Il due-pesi-e-due-misure, oggi, potremmo metterlo in bella vista insieme al simbolo della Repubblica italiana. Si denuncia “la casta”, ma quando si riesce ad avvicinare un politico gli si chiede un favore di quelli “fuori concorso”. Si parla di diritto di cronaca intendendo diritto d’insulto… Uno schifo al quale non sembra esserci fine.
Sembra che un demone subdolo e potente faccia di tutto per portarci al disgusto. Per farci cadere le braccia e dire “basta, non ne vale più la pena”.
Ma chi ci ha preceduto ci guarda e aspetta, fiducioso, che il suo esempio trovi radici forti nel nostro animo e riesca finalmente a far germogliare quel seme piantato tanto tempo fa. In nome di quell’esempio, chi di noi ancora crede nella possibilità di un mondo più semplice, più dignitoso, più vero, ha il dovere di far di tutto per consentire a quel seme di germogliare.
Gabriele Marconi
http://www.area-online.it/articoli/politica/367-il-seme-della-dignita.html

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